
Leonardo Lidi prosegue al Festival dei Due Mondi di Spoleto la sua trilogia sui capolavori di Anton Čechov. Dopo il successo di pubblico e critica dello spettacolo Il gabbiano, il regista si confronta con un altro grande classico del drammaturgo russo: Zio Vanja, seconda tappa del progetto Čechov che si concluderà nel 2024 con Il giardino dei ciliegi.
Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria insieme al Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e al Festival di Spoleto, andrà in scena sabato 24, domenica 25 e lunedì 26 giugno al Teatro Caio Melisso – Spazio Carla Fendi. Sul palco (in ordine alfabetico): Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speziani e Giuliana Vigogna.
“In questa trilogia vedo la possibilità di tornare al senso pratico del teatro – spiega Lidi – deviando gli intellettualismi e scegliendo la semplicità nella sua altezza. Scegliendo uno spazio. Scegliendo l’empatia e non una bolla elitaria. Scegliendo l’amore e il dolore che comporta questa opzione ma soprattutto scegliendo gli attori come forma d’arte e come pietra preziosa da difendere nel teatro italiano del nostro tempo”.
Dalle note di regia. “C’eravamo tanto amati. La seconda tappa del Progetto Čechov abbandona il gioco e si indurisce nel tempo. Spazza via i contadini che citano Dante a memoria per consentire un abuso edilizio ambizioso e muscolare. C’era un grande prato verde dove nascono speranze e noi ci abbiamo costruito una casa asfissiante con troppe inutili stanze a occupare ogni spazio vitale. Avevamo sfumature e ora c’è un chirurgico bianco e nero che strizza l’occhio allo spettatore intelligente. Avevamo donne e uomini che cercavano la vita attraverso l’amore ma abbiamo preferito prenderne le distanze. Quando? Quando è diventato troppo poco parlare d’amore? Come se poi ci fosse qualcos’altro di interessante. Il cuore si è tinto di nero e questa possibile colorata commedia si è trasformata in una dissacrante e continuata risata isterica ad un funerale. L’idea di un paese guidato dai suoi pensatori è sepolta e noi non possiamo che fare i conti partendo da questo inesorabile dato di fatto. Questa casa è culturalmente morta, governata da ignoranti e da sterili ideologie. Ce lo ricorda lo Zio, quel buffone vestito male che palpa con gli occhi le nostre fidanzatine e aspetta le riunioni di famiglia per alzare il gomito e sbatterci in faccia la nostra condizione perennemente umiliante. Inutile lavorare, inutile impegnarsi, inutile studiare. Meglio aspettare un reddito senza sudare, meglio lamentarsi di chi ha distrutto il talento”. Leonardo Lidi
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