Nella scorsa Stagione gli alberi secolari umbri ci hanno offerto un’immagine forte per suggerire il nostro lavoro in rapporto col territorio. Quella immagine aveva il sapore di premessa alla simbolica fioritura di un intero giardino, dominato dal candore luminoso di alberi di ciliegio. Con Il giardino dei ciliegi, che conclude quest’anno la trilogia su Čechov di Leonardo Lidi, dopo il successo de Il gabbiano e Zio Vanja, il TSU può festeggiare la sua centocinquantesima produzione.
Le Stagioni dei teatri disegnano, anno dopo anno, delle geografie in cui le strade tengono memoria dei passi di chi nel tempo le ha percorse, e la successione di spettacoli e di storie che si alternano su un palcoscenico, allarga lo spazio e il tempo. In quarant’anni di attività il Teatro Stabile dell’Umbria ha sempre articolato il suo lavoro tra produzioni, ospitalità, progetti di studio e di accompagnamento alla messa in scena, avendo sempre come obiettivo il dialogo con il pubblico.
Questa importante coincidenza della chiusura della trilogia cechoviana con la centocinquantesima produzione, ci permette di fare una riflessione su uno degli aspetti centrali del nostro lavoro: la produzione. Le produzioni di un teatro costituiscono, in un certo senso, l’albero genealogico della “casa” in cui nascono. Scorrendo il catalogo degli spettacoli dal primo fino ai più recenti previsti per la Stagione 24/25, sembra di osservare un album fotografico di famiglia: sfogliandolo a ritroso potremmo, attraverso lo sguardo sul presente, raccontare parte della nostra storia, che per ogni produzione si rinnova.
Lavorare a una produzione significa costruire delle relazioni con gli artisti coinvolti nello spettacolo ma anche con i diversi soggetti che partecipano alle varie fasi: co-produttori, abitanti dei luoghi che accolgono i periodi di lavorazione, e il pubblico, fruitore finale degli spettacoli. Questa ramificazione contribuisce ad animare e sviluppare il dibattito socio-culturale, sul territorio regionale e nazionale. Vengono studiati ed esplorati accuratamente tutti i linguaggi, perché il nostro pubblico possa viaggiare in orizzonti sempre nuovi, ed è in questa ottica che rientra l’attività di programmazione, tanto della prosa quanto della danza; perché l’accurata ricerca alla base della scelta degli spettacoli che andranno a comporre la scrittura dell’intera stagione, nasce dal proposito di stimolare la coscienza critica, per rispondere alla funzione civile del teatro: cooperare alla crescita di un ambiente umano sempre più consapevole e attento alla conoscenza.
Per questo sono essenziali le collaborazioni che negli anni abbiamo stretto con i vari soggetti del territorio locale e nazionale che operano nel settore culturale: perché siamo convinti che per centrare obiettivi così ambiziosi, occorre unire le forze. Ne sono un esempio le collaborazioni attive da anni con il Festival dei Due Mondi di Spoleto, con le residenze artistiche umbre, la partecipazione alle reti nazionali e internazionali che si occupano di teatro e danza, ma anche le relazioni sempre vive con soggetti meno strutturati, che hanno la possibilità di avere una relazione diretta con i territori su cui operano.
Il filo rosso che lega tutti gli aspetti di questo discorso, la linfa che scorre da una parte all’altra, è sempre il confronto con le nuove generazioni, che con la sete e il bisogno di esprimere i loro ideali con la loro autentica voce, sviluppano, colorano e fanno sbocciare l’intero universo culturale.
Ogni singola produzione teatrale vive più fasi: il momento un po’ segreto e un po’ magico dalla scelta di un testo, il confronto con il regista e i collaboratori artistici, le prove con gli attori e l’atteso debutto. Così le produzioni iniziano a viaggiare, toccare altre città, incontrare nuovo pubblico.
C’è una magia misteriosa in un camion che arriva nel retro di un teatro, accoglie tutto il materiale di uno spettacolo ormai pronto, per poi trasportarlo nella “piazza” successiva, luogo del successivo montaggio, in attesa di un nuovo pubblico. La famiglia teatrale tecnica, insieme a quella artistica, è quella che organizza la “casa” che ospita la creazione, collabora all’obbiettivo comune di produrre cultura che abbia, proseguendo la metafora dell’albero in fioritura, forti radici e sempre nuove ramificazioni. L’incognita della variabilità, il muoversi tra gli orizzonti, la potenza esploratrice dell’attore che ogni sera si scatena sul palcoscenico, portano a repliche che non possono essere mai uguali, perché l’incontro col pubblico è ogni volta irripetibile e mai riproducibile.
Nino Marino, Direttore TSU
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