Zio Vanja

Scritta e ambientata nel 1890 (ma potrebbe essere oggi) la commedia intreccia temi ricorrenti nelle opere maggiori di Čechov, basta guardare i personaggi: Zio Vanja amministra la tenuta del professor Serebrjakov, dove vive con la madre e con Sonja, figlia di primo letto del professore. Zio e nipote vivono una vita di lavoro e di affetti silenziosi e rinuncia alle speranze segrete. Quando il professore arriva con la sua seconda moglie Elena, la vita di campagna viene turbata: emergono le frustrazioni di Elena, delusa dalla vanità presuntuosa del marito, ma decisa a non rispondere all’amore di Vanja e al corteggiamento del dottor Astrov, di cui è segretamente innamorata Sonja.
All’amarezza delle illusioni (di Sonja, di Elena, di Vanja e del dottore) si accompagna una riflessione di fondo sul senso della vita degli individui e sulle trasformazioni sociali (e anche sul rapporto fra uomo e natura). Quando Elena e il professore torneranno alla loro vita cittadina, ai più consapevoli Vanja, Sonja e Astrov, ecologista profetico, non resterà che tornare al silenzio operoso e rassegnato della loro solitudine.


La Locandina

traduzione Fausto Malcovati
regia
Leonardo Lidi
con (in o. a.) Giordano Agrusta (Il’ja Il’ic Telegin), Maurizio Cardillo (Aleksandr Vladimirovich Serebryakov), Ilaria Falini (Elena Andreevna), Angela Malfitano (Marija Vasil’evna Vojnickaja), Francesca Mazza (Marina, vecchia njanja), Mario Pirrello (Michail L’vovič Astrov), Tino Rossi (Guardiano), Massimiliano Speziani (Ivan Petrovič Vojnickij), Giuliana Vigogna (Sof’ja Semënovna)

scene e luci Nicolas Bovey
costumi
Aurora Damanti
suono Franco Visioli
assistente alla regia Alba Porto
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
in coproduzione con Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Spoleto Festival dei Due Mondi  

Info

Zio Vanja - ph. Gianluca Pantaleo

Zio Vanja - ph. Gianluca Pantaleo

Zio Vanja - ph. Gianluca Pantaleo

Zio Vanja - ph. Gianluca Pantaleo

ph. Gianluca Pantaleo


NOTE DI REGIA
C’eravamo tanto amati. C’è stato un tempo dove questa strana famiglia non era poi così strana. I ruoli erano ben distribuiti, con credibilità e senza eccessi, e ogni personaggio poteva considerarsi utile allo spettacolo del quotidiano. Ognuno al proprio posto, con ordine e naturalezza. Chi indossava il costume dell’intellettuale, ad esempio, era da considerarsi metafora di speranza futura ed era opportuno riservare ad esso amore e gratitudine come ad un eroico e fascinoso cavaliere. Era lecito che una bella e gentile ragazza si invaghisse del proprio professore ed era altrettanto plausibile che la famiglia della giovine tutelasse il sapiente uomo come un animale in via d’estinzione. E così Vera si sposa con Aleksandr, lo porta a Casa e la storia comincia. Gli abitanti del pianeta Čechov si animano, trovano una dimensione adeguata alla propria formazione, tutti remano nella medesima direzione e la possibilità di una Russia efficace e vincente smette di essere un miraggio e si tramuta in un concreto e reale domani. In una dimensione dove l’uomo è artefice del proprio destino la felicità potrebbe trovare il giusto spazio. Ma Vera muore e tutto cambia. La speranza si spegne e chi prova a ricominciare suona ridicolo nel suo tentare. Il cuore si tinge di nero e questa possibile colorata commedia diventa una dissacrante e continuata risata isterica ad un funerale. L’idea di un paese guidato dai suoi pensatori è sepolta e noi non possiamo che fare i conti partendo da questo inesorabile dato di fatto. Questa casa è culturalmente morta, amici miei. È governata da ignoranti e da sterili ideologie. Ce lo ricorda lo Zio, quel buffone vestito male che palpa con gli occhi le nostre fidanzatine e aspetta le riunioni di famiglia per alzare il gomito e sbatterci in faccia la nostra condizione perennemente umiliante. Inutile lavorare, inutile impegnarsi, inutile studiare. Dice, lo zio. Meglio aspettare un reddito senza sudare, meglio lamentarsi di chi ha distrutto il talento.
La seconda tappa del Progetto Čechov abbandona il gioco e si imbruttisce col tempo. Spazza via i contadini che citano Dante a memoria per consentire un abuso edilizio ambizioso e muscolare. C’era un grande prato verde dove nascono speranze e noi ci abbiamo costruito una casa asfissiante con troppe inutili stanze ad occupare ogni spazio vitale. Avevamo sfumature e ora c’è un chirurgico bianco e nero che strizza l’occhio allo spettatore intelligente. Avevamo donne e uomini che cercavano la vita attraverso l’amore ma abbiamo preferito prenderne le distanze. Quando?
Quando è diventato “troppo poco” parlare d’amore? Come se poi ci fosse qualcos’altro di interessante. Se nel Gabbiano sprecavamo carta e tempo nel ragionare sulla forma più corretta con il quale passare emozioni al pubblico, divisi tra realismo e simbolismo, tra poesia e prosa, tra registi, scrittori e attrici, e ci bastava una panchina per tormentarci dei dolori del cuore (Quanto amore, lago incantatore!) in Zio Vanja l’arte è relegata a concetto museale, roba da opuscoli aristocratici, uno sterile intellettualismo che non pensa più al suo popolo, che annoia la passione e permette agli incapaci di vivere di teatro.
E allora che questa strana famiglia cantata da Čechov abbia la faccia di Gaber. La sua maschera irriverente. O meglio ancora di Freak Antoni. Che sia stonata e sgrammaticata. Sconfitta dai propri fantasmi. Ripugnante e fastidiosa. Con l’alito cattivo. Più alta del crocchiare di una gallina ad un comizio, più profonda del raglio di un asino messo a pilotare un aereo che si sta per schiantare. Che prenda in giro chi si nasconde dietro ai progetti perché spaventato e che faccia tanti e tanti e sentitissimi applausi a chi crede che Zio Vanja sia un testo attuale perché parla di alberi. Avete costruito un focolare tanto stupido che preferisco congelare al sincero freddo della mia solitudine, lasciatemi fuori, escluso come il cane di Rino Gaetano! Prendetevi le ghiande e lasciatemi le ali.
In questa cosa/casa non ci voglio neanche entrare – ma siate pazienti, l’anno prossimo la vendiamo per davvero! “Non è nulla bambina mia, le oche starnazzano per un po’ e poi si calmano… Starnazzano per un po’ e poi si calmano”.

LEONARDO LIDI


Teatro

Teatro Romualdo Marenco - Novi Ligure

Data e Ora

Mer 15 Gen 2025

Teatro

Teatro Ariosto - Reggio Emilia

Data e Ora

Da Ven 17 Gen a Dom 19 Gen 2025

Teatro

Teatro degli Impavidi - Sarzana

Data e Ora

Da Mar 21 Gen a Mer 22 Gen 2025

Teatro

Teatro Fraschini - Pavia

Data e Ora

Da Ven 24 Gen a Dom 26 Gen 2025




Stagioni precedenti

— Teatro dell'Unione - Viterbo, Mar 30 Apr

— Teatro Mercadante - Napoli, da Mar 23 Apr a Dom 28 Apr

— Teatro Strehler - Milano, da Mar 16 Apr a Dom 21 Apr

— Teatro Vascello - Roma, da Mar 9 Apr a Dom 14 Apr

— Il Maggiore - Verbania, Dom 7 Apr

— Teatro Civico - Vercelli, Sab 6 Apr

— Teatro Comunale - Lumezzane, Gio 4 Apr

— Teatro Fabbri - Forlì, da Ven 15 Dic a Dom 17 Dic

— Teatro Goldoni - Bagnacavallo, da Mer 13 Dic a Gio 14 Dic

— LAC - Lugano, da Sab 9 Dic a Dom 10 Dic

— Teatro Comunale Gonzaga - Gonzaga, Gio 7 Dic

— Teatro Ponchielli - Cremona, Mar 5 Dic

— Teatro Morlacchi - Perugia, da Mer 29 Nov a Dom 3 Dic

— Teatro Talisio Tirinnanzi - Legnano, Lun 27 Nov

— Teatro Carignano - Torino, da Mar 21 Nov a Dom 26 Nov

— Teatro Pietro Mascagni - Chiusi, Dom 19 Nov

— Teatro Caio Melisso - Spazio Carla Fendi - Spoleto, da Sab 24 Giu a Lun 26 Giu