Re Lear, vecchio, vuole deporre la responsabilità del regno dividendo il reame fra le sue tre figlie, Regana, Gonerilla e Cordelia. Vuole però una “ricompensa” affettiva che le prime due gli tributano con iperboliche sviscerate attestazioni di amore, mentre Cordelia con poche scarne parole testimonia la sua devozione (e al tempo stesso smaschera l’ipocrisia delle sorelle). Lear, rivelando il lato tirannico e possessivo del suo ruolo paterno, disereda e scaccia Cordelia, che parte per la Francia con il suo sposo. Lear sperimenta ben presto il carattere malvagio delle figlie maggiori, che gli negano il minimo sostegno dovuto al suo prestigio regale. Parallela alla “caduta” di Lear e simile nella sua causa, è la vicenda del signore di Gloucester: il figlio illegittimo Edmund riesce a far scacciare l’erede legittimo Edgard e si impadronisce del ducato. Le due figlie, Regana e Gonerilla entreranno in guerra fra loro, contendendosi il regno e l’amore del perfido Edmund (amante di entrambe).
Il ritorno di Cordelia con l’esercito del re di Francia, per rimettere Lear sul trono, farà trionfare la giustizia. Come tutti i capolavori di Shakespeare, Re Lear può essere letto a diversi livelli, tragedia della vecchiaia e del potere, ma anche della responsabilità: su un piano mitico Lear è un “sovrano ferito”, il cui male genera lo squallore nel paese. La morte finale di Lear e Cordelia è il prezzo sacrificale pagato per il ristabilimento dell’ordine nel Regno.
La Locandina
traduzione di Ferdinando Bruni
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
con Elio De Capitani, Mauro Bernardi, Elena Ghiaurov, Mauro Lamantia, Giuseppe Lanino, Viola Marietti,
Giancarlo Previati, Alessandro Quattro, Elena Russo Arman, Nicola Stravalaci, Umberto Terruso, Simone Tudda
produzione Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile dell’Umbria
Info
PRIMA NAZIONALE
DURATA 3 ore compreso intervallo
NOTE DI REGIA
Giacomo Stuart, pochi anni prima che Shakespeare scrivesse Re Lear, disse al suo figlio maggiore che aveva due motivi per amare Dio: “Il primo perché ti ha fatto nascere uomo, il secondo perché ha fatto di te un piccolo Dio che siede sul Trono e comanda gli altri uomini”. Il sovrano sognava di comandare come Dio, non solo esigendo dai suoi sudditi un’obbedienza assoluta, ma anche un amore incondizionato. In Re Lear, Shakespeare esplora le catastrofiche conseguenze di questo sogno non solo nello stato, ma anche nella famiglia.
Lear è insieme padre, re e una specie di dio mortale: è l’immagine dell’autorità maschile, “forse la rappresentazione suprema del maschio europeo bianco” (Harold Bloom), dell’arroganza che lo rende cieco e del lungo cammino rovinoso che lo conduce dal trono fino alla landa desolata e tempestosa dove riconosce nel corpo nudo e piagato di un mendicante pazzo “la cosa in sé”, l’essenza dell’uomo: “L’uomo privo di tutto non è altro che un animale, povero, nudo, un bipede forcuto come te.”
In Re Lear questo viaggio angoscioso “nel cuore di tenebra” di un’umanità che vaga per le contrade aride di un mondo “fuori sesto”, si intreccia con un’angoscia tutta fisica; le terribili forze scatenate dalla follia del Re colpiscono la sua anima e il suo corpo con una violenza simile a quella della tempesta che lo sovrasta e che diventa rappresentazione simbolica della sua catastrofe interiore.
Al termine di questo doloroso processo di conoscenza, iniziato con la rinuncia al potere e che conduce il Re alla pazzia attraverso una serie di umiliazioni, Lear ha compresoqualcosa su se stesso, sugli esseri umani, sul carattere auto-distruttivo e patologico del potere e della sovranità.
Lear e il Conte di Gloucester, un altro vecchio il cui destino è tragicamente parallelo a quello di Lear, nel corso della loro ordalia invocano spesso l’aiuto degli dèi, ma gli dèi tacciono. “Per gli dèi noi siamo come le mosche per i monelli, ci uccidono per gioco.” dice Gloucester. Tocca all’uomo redimersi dal suo orgoglio insensato e dalla sua cecità fisica e morale, attraverso un percorso di sofferenza e di spogliazione. Sotto questo cielo scuro e silenzioso, su questa terra dura dove il male dilaga, l’amore compare in brevi bagliori strazianti: nell’incontro di Edgar con il padre accecato, nella dedizione di Kent per il suo Re, nella pietà di Lear per il suo Matto e infine nell’insostenibile lamento di Lear sul corpo di Cordelia morta. “Perché un cane, un cavallo, un topo devono vivere e tu non hai più fiato? Tu non ritornerai, mai più, mai più, mai più, mai più, mai più.”
La tragedia di Shakespeare ci chiede di non distogliere lo sguardo dal male, dalla follia, dall’insopportabile dolore degli esseri umani, ma di guardarli in faccia, dritti negli occhi, per rafforzare la nostra capacità di sopportare e di amare.
Ferdinando Bruni, Francesco Frongia
Stagioni precedenti
— Teatro Elfo Puccini - Milano, da Mer 25 Ott a Dom 19 Nov
— Teatro Morlacchi - Perugia, da Mer 18 Ott a Dom 22 Ott