Nella gabbia

Nella
gabbia

di Henry James


Gli spettatori di Ronconi – settanta – sono sistemati in una tribunetta collocata sul palcoscenico e vedono, di fronte e in basso, l’attrice che agisce accanto al sipario, tra l’aiuola di peonie e il palco di proscenio adattato a sportello del telegrafo, con qualche discesa in platea a passeggiare nel corridoio tra due file di poltrone, delegato a viale del parco. L’inversione di luoghi tra palcoscenico e platea corrisponde nello spazio alle teatralizzazioni, alle messinscene che la protagonista opera su quei canovacci di realtà che per lei sono i telegrammi in arrivo al suo sportello. Attenta ai livelli sociali come poteva essere una piccola borghese snob dell’età vittoriana, la telegrafista sceglie tra i suoi utenti una coppia adulterina di giovani aristocratici, che assomigliano ai personaggi dei romanzetti da pochi soldi consumati negli intervalli del lavoro e cerca di infiltrarsi nelle loro vicende; un caso di rapporto con la realtà condizionato dalla letteratura rosa. A una così improbabile ‘narratrice’ James affida con ironia la metafora del romanziere naturalista che pretende di dominare tutta la complessità del reale. E così gli altri personaggi del romanzetto giustamente non devono mai apparire accanto a lei, lasciandola sola nella sua solipsistica messinscena. Uno dei casi in cui a teatro il monologo ha davvero una sua ragione e una sua produzione di senso.
Rita Cirio, l’Espresso


La Locandina

traduzione e elaborazione drammaturgica di Enzo Siciliano
a cura di Luca Ronconi
con Anna Maria Guarnieri
regista assistente Paolo Castagna
costumi di Vera Marzot

luci di Sergio Rossi
direttore dell’allestimento Pietro Pagnanelli A.U.D.A.C. Teatro Stabile dell’Umbria

Info

traduzione e elaborazione drammaturgica di Enzo Siciliano
a cura di Luca Ronconi
con Anna Maria Guarnieri
regista assistente Paolo Castagna
costumi di Vera Marzot
luci di Sergio Rossi
direttore dell’allestimento Pietro Pagnanelli

A.U.D.A.C. Teatro Stabile dell’Umbria


Gli spettatori di Ronconi – settanta – sono sistemati in una tribunetta collocata sul palcoscenico e vedono, di fronte e in basso, l’attrice che agisce accanto al sipario, tra l’aiuola di peonie e il palco di proscenio adattato a sportello del telegrafo, con qualche discesa in platea a passeggiare nel corridoio tra due file di poltrone, delegato a viale del parco. L’inversione di luoghi tra palcoscenico e platea corrisponde nello spazio alle teatralizzazioni, alle messinscene che la protagonista opera su quei canovacci di realtà che per lei sono i telegrammi in arrivo al suo sportello. Attenta ai livelli sociali come poteva essere una piccola borghese snob dell’età vittoriana, la telegrafista sceglie tra i suoi utenti una coppia adulterina di giovani aristocratici, che assomigliano ai personaggi dei romanzetti da pochi soldi consumati negli intervalli del lavoro e cerca di infiltrarsi nelle loro vicende; un caso di rapporto con la realtà condizionato dalla letteratura rosa. A una così improbabile ‘narratrice’ James affida con ironia la metafora del romanziere naturalista che pretende di dominare tutta la complessità del reale. E così gli altri personaggi del romanzetto giustamente non devono mai apparire accanto a lei, lasciandola sola nella sua solipsistica messinscena. Uno dei casi in cui a teatro il monologo ha davvero una sua ragione e una sua produzione di senso.
Rita Cirio, l’Espresso





Stagioni precedenti

— Perugia, Teatro Francesco Morlacchi, Ven 9 Ago