Matteotti

(anatomia di un fascismo)

di Stefano Massini


Ci sono momenti in cui gli esseri umani trovano in sé una forza inattesa. Non è una forza che nasce dal corpo, ma dalla dignità, da un senso profondo di sé che nessuno in fondo veramente controlla. E un anniversario importante come i cento anni da una storia che vale la pena raccontare ancora, può e forse deve essere uno di quei momenti dove la risposta alle domande non riguarda più la Storia ma il buon senso e la dignità. Le quattro e quindici del pomeriggio del 10 giugno 1924. Due testimoni dichiarano di aver assistito a una colluttazione all’interno di una vettura e di aver visto espellere quello che sarà riconosciuto come il tesserino dell’onorevole Giacomo Matteotti, parlamentare della Repubblica.

Matteotti (anatomia di un fascismo) parte dalla testimonianza di chi c’era, di chi ha visto e non si è tirato indietro, per ricostruire quanto Matteotti stesso chiamava il pericolo più grande: il pericolo più grande è quello che non capisci, la malattia che fa morire un uomo è quella che non fa rumore, non ha sintomi, non la senti crescere. Anzi, addirittura ne sorridi. Come sorrideva “Tempesta”, così come era chiamato il giovane Giacomo a Ferrara, quando parlava dei “celibanisti”, quelli che al caffè dietro il Duomo chiedono il celibano perché non lo sanno che il cherry-brand è inglese. Quelli che, d’un tratto, sfilano in migliaia accanto al Contessino, Italo Balbo. Quelli che parlano di riportare ordine nel disordine perché il fascismo nasce sempre in difesa di qualcuno da qualcosa. Quelli che Tempesta non esita a denunciare.

Io pubblicamente denuncio la manovra politica con cui si è spacciata l’eversione più radicale camuffandola nel suo esatto opposto, ovverosia nella garanzia dell’ordine.

Io denuncio il sistematico uso della forza, la riduzione al silenzio delle voci dissenzienti, io denuncio all’Italia e al mondo intero che un mostro chiamato fascismo ogni giorno diventa più potente proprio grazie al silenzioso assenso di chi per pigrizia lo svaluta, lo legittima e non lo combatte!

A cento anni di distanza è il teatro, è la musica, sono le parole di Stefano Massini, la voce di Ottavia Piccolo, i suoni de I Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo a prendersi l’impegno di parlare.


La Locandina

con Ottavia Piccolo
e I Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo
musiche di Enrico Fink
eseguite dal vivo da Massimiliano Dragoni (hammer dulcimer percussioni), Luca Roccia Baldini (basso), Massimo Ferri (corde) Gianni Micheli (clarinetto basso), Mariel Tahiraj (violino), Enrico Fink (flauto)
visual Raffaella Rivi
disegno luci Paolo “Pollo” Rodighiero
scenografia Federico Pian

costumi a cura di Lauretta Salvagnin (il vestito di Ottavia Piccolo è realizzato da La sartoria – Castelmonte onlus)
regia Sandra Mangini
una produzione Argot Produzioni | Officine della Cultura
in co-produzione con Teatro | Teatro delle Briciole – Solares Fondazione delle Arti | Teatro Stabile dell’Umbria
con il contributo di Ministero della Cultura e Regione Toscana
in collaborazione con Infinito Produzion

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