
La locandiera
di Carlo Goldoni
Antonio Latella dirige La locandiera con Sonia Bergamasco nel ruolo di Mirandolina. Una produzione firmata TSU tra le più attese della prossima Stagione teatrale.
Mirandolina gestisce la locanda ereditata dal padre, insieme al fedele Fabrizio, cui è legata da una promessa di matrimonio fatta al padre prima che morisse. Nella sua locanda due clienti, il Conte d’Albafiorita e il Marchese di Forlipopoli, entrambi innamorati di lei, si contendono le sue attenzioni, usando le armi che hanno a disposizione: i soldi uno e il titolo nobiliare l’altro. La donna però riesce con intelligenza e superiorità ad arginare i corteggiamenti, consentendosi di tanto in tanto (quando i limiti della convenienza lo consentono) di ricavarne anche qualche piccolo dono. Di fronte alla misoginia del Cavaliere di Ripafratta, altro cliente della locanda, che dichiara con forza il suo disprezzo verso le donne, Mirandolina si sente sfidata nel suo potere di seduzione e decide di mettere in atto un piano per farlo capitolare.
Tra equivoci e inganni, arricchiti e movimentati anche dall’arrivo in locanda delle due attrici Ortensia e Dejanira, Mirandolina riesce nell’intento di far innamorare il Cavaliere, che però, poi, perde la testa diventando pericoloso. La quiete si ristabilisce quando Mirandolina accetta di sposare Fabrizio, mettendo fine quindi alle pretese di tutti gli altri corteggiatori. Ma come in altre opere goldoniane la fine degli intrighi porta con sé un’ombra di malinconia.
La Locandina
regia Antonio Latella
con Sonia Bergamasco, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Giovanni Franzoni, Francesco Manetti, Gabriele Pestilli, Marta Pizzigallo, Valentino Villa
dramaturg Linda Dalisi
scene Annelisa Zaccheria
costumi Graziella Pepe
musiche e suono Franco Visioli
luci Simone De Angelis
assistente alla regia Marco Corsucci
assistente alla regia volontario Giammarco Pignatiello
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
Info
DURATA 2 ore 30 compreso intervallo
NOTE DI REGIA
Penso a Café Müller di Pina Bausch. Penso ad una donna nata e cresciuta nella Locanda. Un luogo-mondo che accoglie infiniti mondi. Nel testo goldoniano il tema dell’eredità è il punto cardine di tutto.
Mirandolina seduta sul letto di morte del padre riceve in eredità la Locanda, ma anche l’ordine di sposarsi con Fabrizio, il primo servitore della Locanda. In questo credo che ci sia una inconsapevole identificazione del padre con il servo, come erede virtuale in quanto maschio. Più che un uomo per la figlia, il padre sceglie un uomo per la Locanda, un uomo pronto a tutto pur di proteggere la Locanda. Credo che Goldoni con questo testo abbia fatto un gesto artistico potente ed estremo, un gesto di sconvolgente contemporaneità: innanzitutto siamo davanti al primo testo italiano con protagonista una donna, ma Goldoni va oltre, scardina ogni tipo di meccanismo, eleva una donna formalmente a servizio dei suoi clienti a donna capace di sconfiggere tutto l’universo maschile, soprattutto una donna che annienta con la sua abilità tutta l’aristocrazia. Di fatto Mirandolina riesce in un solo colpo a sbarazzarsi di un cavaliere, di un conte e di un marchese. Scegliendo alla fine il suo servitore come marito fa una scelta politica, mette a capo di tutto la servitù, nobilita i commercianti e gli artisti, facendo diventare la Locanda il luogo da dove tutta la storia teatrale del nostro paese si riscriverà, la storia che in qualche modo ci riguarda tutti. Goldoni fa anche un lavoro sulla lingua, accentuando un italiano toscano. Per essere Mirandolina bisogna essere capaci di mettersi al servizio dell’opera, ma anche non fare del proprio essere femminile una figura scontata e terribilmente civettuola, cosa che spesso abbiamo visto sui nostri palcoscenici. Spesso noi registi abbiamo sminuito il lavoro artistico culturale che il grande Goldoni ha fatto con questa opera, la abbiamo ridimensionata, cadendo nell’ovvio e riportando il femminile a ciò che gli uomini vogliono vedere: il gioco della seduzione. Goldoni, invece, ha fatto con questo suo testamento, una grande operazione civile e culturale. Siamo davanti ad un manifesto teatrale che dà iniziò al teatro contemporaneo, mentre per una assurda cecità noi teatranti lo abbiamo banalizzato e reso innocente. La nostra mediocrità non è mai stata all’altezza dell’opera di Goldoni e, molto probabilmente, non lo sarò nemmeno io. Spero, però, di rendere omaggio a un maestro che proprio con Goldoni ha saputo riscrivere parte della storia teatrale italiana: parlo di Massimo Castri.
Antonio Latella
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