
Oltre
come 16+29 persone hanno attraversato il disastro delle Ande
ideazione e regia Fabiana Iacozzilli
Il 13 ottobre 1972 il volo 571 dell’aeronautica militare uruguaiana si schiantò sulle Ande con quarantacinque persone a bordo. Il volo trasportava i membri della squadra di rugby Old Christians Club, insieme ad alcuni amici e familiari. I ragazzi avrebbero dovuto affrontare una partita. La rotta era da Montevideo, in Uruguay, a Santiago, in Cile. Solo un passeggero non aveva alcun legame con la squadra. Allo schianto sopravvissero in ventinove e dopo settantadue giorni solo sedici di loro furono salvati dai soccorsi. I corpi dei cadaveri furono utilizzati dai sopravvissuti per nutrirsi e continuare a vivere.
La storia del disastro delle Ande è stata raccontata più volte e l’accento è stato spesso posto sull’antropofagia, sul momento in cui degli esseri umani hanno scelto di cibarsi dei corpi dei loro compagni di squadra per continuare a lottare contro la montagna. Sicuramente questo elemento è il punto nevralgico della storia, motivo di interesse e occasione di sprofondamento all’interno di questioni che hanno a che fare con l’umano e con tabù primitivi. Le domande che con Linda Dalisi ci spingono ad affrontare questo nuovo progetto, si concentrano più sul pensiero, condiviso dal gruppo di sopravvissuti, che nell’antropofagia si sarebbe raggiunta, unitamente alla loro sopravvivenza, quella dei loro amici: i morti avrebbero continuato a vivere in loro, attraverso e dentro i loro corpi, in quanto i muscoli e le viscere dei cadaveri sarebbero diventati nuova energia per chi stava lottando per vivere.
In questo atto estremo di cannibalismo si vede in controluce un atto sacro di comunione: la trasformazione del corpo di amici morti nei muscoli e nei respiri ostinati che hanno permesso ai due sopravvissuti camminatori (Roberto Canessa e Nando Parrado) di affrontare una traversata di dieci giorni e arrivare alla salvezza. I due uomini erano infatti partiti solo con otto calze da rugby piene di grasso e carne dei loro amici. Da qui le domande/fondamenta su cui stiamo edificando il progetto: fin dove siamo pronti a spingerci pur di sopravvivere? Come i miei muscoli, il mio cuore, le mie ossa e le mie viscere tutte, possono partecipare al progetto di sopravvivenza di altri esseri umani e diventare cosí l’energia e i muscoli e il sangue che li spingono verso la salvezza? Possiamo rinascere nel corpo di un altro? Non è in fondo vero che gli esseri umani muoiono solo quando smettono di essere ricordati?
Ci si chiede inoltre se quei ragazzi sarebbero ugualmente riusciti a sopravvivere se non fossero stati parte di una squadra di rugby, un gioco in cui durante la mischia gli avanti delle due squadre si avvinghiano e i giocatori premono con la testa contro la testa e le spalle degli avversari contrapposti, un gioco bello e a tratti brutale dove il giocatore che pone la palla sulla linea mediana non è il più abile, ma, il più delle volte, l’ultimo anello di una catena. Nel rugby esiste un tiro particolare il calcio di trasformazione anche detto di conversione e il nostro vuole essere un progetto sulla rinascita e sulla trasformazione più che sulla catastrofe. Fabiana Iacozzilli
La Locandina
ideazione e regia Fabiana Iacozzilli
con Andrei Balan, Francesco Meloni, Marta Meneghetti, Giselda Ranieri, Evelina Rosselli, Isacco Venturini, Simone Zambelli
dramaturg Linda Dalisi
scene Paola Villani
musiche e suono Franco Visioli
luci Raffaella Vitiello
cura dell’animazione Michela Aiello
aiuto regia Cesare Del Beato
assistenti alla regia volontari Matilde Re e Francesco Savino
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
in coproduzione conCranpi, La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
con il sostegno e debutto nazionale Romaeuropa Festival
con il sostegnodel Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale, Teatro Biblioteca Quarticciolo
con il contributodell’Istituto Italiano di Cultura di Montevideo
un ringraziamento a Fivizzano27
Info
NUOVO ALLESTIMENTO
Lo spazio scenico è concepito come una grande spianata di neve immersa nella tempesta, al centro della quale troneggia una fusoliera spezzata. È interessante rilevare come tutte o molte delle storie di sopravvivenza estrema che conosciamo siano avvenute su una spianata: di neve, di sabbia, di acqua. Al realismo di questa immagine corrisponde il valore simbolico di cui si fa portatrice: la fusoliera in mezzo al ghiaccio come un grande ventre materno dal quale i sopravvissuti escono e al quale fanno ritorno per cercare una qualsivoglia forma d’amore.
Nella scelta della lingua scenica risiede il mio desiderio di ritornare al teatro di figura e di ritornarci approdando ad un linguaggio diverso che non sia più quello delle marionette da tavolo utilizzate ne La classe ma che possa condurre il gruppo di lavoro alla sperimentazione con dei puppets da corpo/marionette ibride. Questi puppets a grandezza naturale progettati da Paola Villani sono realizzati con materiali che possono essere manipolati in scena per consentire ai corpi delle marionette di smagrire e diventare scheletrici davanti agli occhi del pubblico, per consentire a questi corpi straziati di rompersi, di far fuoriuscire materia interna che possa andare a nutrire il corpo di un altro sopravvissuto, per consentire di entrare uno dentro l’altro.
Ispirazione per il lavoro di trasfigurazione scenica degli oggetti in questione sono state le parole della fidanzata di uno dei sopravvissuti, Roberto Canessa, riportate nel libro autobiografico Dovevo sopravvivere! con le quali racconta del primo incontro con il sopravvissuto avvenuto in ospedale dopo il salvataggio: “in certi momenti sembrava un bambino, in altri un vecchio con l’anima a fior di pelle come se fosse in uno stato di grazia, era un essere umano pronto a morire, all’inizio di un cammino verso un’altra condizione.”
Inoltre il lavoro con i puppets spinge su un livello di lettura poetica l’atrocità della vicenda: il mondo della figura posiziona questa storia su un piano metafisico e i puppets, per loro natura punti di contatto con il mistero, ci fanno sprofondare nella dimensione spirituale di cui la vicenda è intrisa. Il lavoro prevede infine, come nei miei precedenti progetti, l’incontro con i sopravvissuti e con i parenti di chi non è riuscito a tornare, in un’ottica di raccolta di materiali e interviste che, insieme a Linda Dalisi, utilizzeremo come mezzo di esplorazione dei temi trattati.
Fabiana Iacozzilli